giovedì 24 aprile 2008

Raccontino - I risultati elettorali

Il contenuto di questo racconto è dettato puramente dalla mia fantasia. Mi sono ispirato all’opera letteraria del grande Giovannino Guareschi, del quale il 1° Maggio prossimo ricorrerà il centenario della nascita, essendo nato proprio il 1° Maggio 1908 a Fontanelle di Roccabianca, in provincia di Parma.
Lo scritto è da considerarsi una semplice parodia dei racconti di Giovannino.
Ogni riferimento a persone, eventi, cose od altro è del tutto casuale ed involontario e non intenzionale.
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L’onorevole Peppone aveva sperato sino all’ultimo in un ‘ribaltòn’ dell’esito del voto. Così come si profilava, la Democrazia Cristiana stava vincendo ma il Partito Comunista lentamente colmava il distacco.
Nella sezione del partito dei lavoratori, la radio (un vecchio apparecchio a valvole) gracchiava risultati ancora parziali. Comunicato dopo comunicato, i baffoni di Peppone apparivano sempre più tronfi e soddisfatti. I suoi occhi furbetti di vecchio antifascista mostravano una tiepida fiammella che, ostinatamente, non voleva spegnersi.
Le bandiere rosse sventolavano per le folate di un impertinente scirocco che, nonostante si fosse a metà Maggio, tempestava la Bassa ed i volti arcigni dei compagni che presidiavano la sezione del partito, sempre pronti a difenderla dagli attacchi del nemico.
Peppone, tra il sommesso mormorìo dei suoi commissari del popolo e le parole ed i numeri della radio, stava per addormentarsi quando l’uomo del microfono, con voce grave e solenne, annunciò l’agognato risultato:
Le elezioni politiche sono state vinte dal Partito…”
A questo punto, Peppone s’apprestò ad alzare le braccia ed a stringere i pugni per esultare per l’agognata vittoria, quando la stessa voce concluse:
“… fondato da don Luigi Sturzo!”
E Peppone rimase così, fermo, granitico, bloccato con le braccia a mezz’aria, con i pugni non del tutto chiusi e pur ancora seduto, con lo sguardo fisso nel vuoto.
Sòrbole, Pepòn l’è sciupà”, gridò un ragazzino che per primo s’avvide dell’inelegante postura del capo del partito.
Il panico s’impadronì dei compagni: gente che urlava, donne incinte venivano colte da malore, qualcuno avrebbe voluto persino chiamare il prete ma fu bloccato da chi Don Camillo non lo voleva proprio vedere. E poi, si sa, Don Camillo non frequentava in genere la sezione del Partito Comunista.
Dopo venti minuti buoni arrivò il medico. Guardò Peppone, lo visitò, non riuscendo a tirargli fuori la lingua se non dopo aver forzato la bocca con un listello metallico piegato a mo’ di piede di porco. Tastò la spalla, auscultò il cuore, martellò il ginocchio ed osservò il fondo dell’occhio, dopo di che sentenziò:
Principio di paresi multipla e composita da colpo elettorale. Non è grave, passerà col tempo, ma per il momento conviene che non si muova, anche perché non può farlo. Dovete stargli vicino, avrà bisogno di voi”.
E le singole dita della mano che si chiama ‘Sezione del Partito Comunista’ si strinsero intorno al loro pollice.
Adesso, ogni mattina, Peppone viene prelevato da casa, sistemato con non poco sforzo su di una Balilla ‘Tre Marce’ e condotto nel boschetto a breve distanza dal paese. Qui viene prelevato dall’auto e deposto su di una panchina, al fresco di un albero. Tra le mani, pugni non del tutto stretti, è possibile sistemare, aperta, la copia del giorno de ‘l’Unità’, aperta sempre alla stessa pagina: i commenti alle elezioni.
Che Peppone ha perso.